Arcieri di Avalon compie ricerca scientifica in collaborazione con Enti, Musei, Università italiane ed internazionali nel campo della caccia preistorica e nelle ricerche di archeologia sperimentale.
L’attività di ricerca, relativa alle tematiche demo– etno–antropologiche applicate alla caccia, si avvale della collaborazione di Università italiane e straniere ed enti di ricerca privati. Il settore scientifico, attivo attraverso programmi specifici in cui sono coinvolti ricercatori nel campo delle scienze antropologiche e naturalistiche, spaziano dallo studio della caccia nella preistoria vista come aspetto condizionante nell’evoluzione umana, agli studi sulla balistica del sistema arco/freccia e sull’odierno ecosistema.
Sostanzialmente, la sperimentazione in archeologia deve servire a discutere tesi sui processi che coinvolgono l’attività umana e gli oggetti/utensili della sua cultura materiale. L’archeologo, durante lo scavo, ritrova manufatti e tracce di “gesti” lontanissimi nel tempo, spesso difficilmente interpretabili. Egli formula idee e possibili spiegazioni di vario genere, in funzione della sua esperienza e della conoscenza dell’insieme. Maggiore è la “cornice di riferimento” del contesto che egli definisce, più complesse diventano le sue speculazioni, che necessitano della cultura e del buon senso di vari “addetti ai lavori”, in aiuto. Egli molto probabilmente scopre una fittissima rete di collegamenti tra le presunte prove e gli indizi, e ognuno di essi è testimonianza di una “relazione” o di un “processo” antropologico. Non è una strada facile; e ad ad essa, a supporto, interviene l’Etnologia e L’Archeologia sperimentale. La prima è l’osservazione dei popoli primitivi di oggi, cosa molto complessa e a volte pericolosa. Spesso, l’attualismo (così è oggi genericamente chiamato) porta a cantonate terrificanti, in quanto il rapporto tra osservatore e osservato è veramente molto ingombrante. Il Principio di Indeterminazione, nemesi delle scienze sperimentali, qui deve fare il conto con le componenti umanissime (psicologiche e sociali) degli “osservati” che si divertono a giocare a rimpiattino con l’indagatore, armato da puro spirito galileiano. Ma comunque è un buon punto di partenza. L’Etnografia, soprattutto quella del secolo scorso, è un patrimonio formidabile di osservazioni, e il ritmo con cui popolazioni primitive-moderne scompaiono è talmente alto che presto solo i loro rapporti scritti potranno – etnologicamente – rimanere spunto di riflessione.
L’Archeologia sperimentale può essere un ottimo aiuto, a condizione che le osservazioni dei processi siano compiute ‘scientificamente’. Cosa significa? semplicemente che ogni “processo” da indagare deve disporre di un opportuno sistema di riferimento (spaziale, temporale, logico) di cui si conoscono i punti di origine e le unità di misura. E che ogni azione materiale e immateriale sia monitorata. Una delle discipline contigue alla sperimentazione (preliminare, spesso) è l’analisi funzionale dei manufatti ritrovati. Essa può avvenire a livello macroscopico e microscopico, e può svelare da sé dati interessantissimi sul “processo” a cui il reperto è stato sottoposto. Se poi il manufatto viene ricostruito (con la medesima materia prima e componenti assemblati, e lo si sottopone a tutti i suoi ipotizzabili usi, si cerca di trovare similitudini tra le nuove tracce ottenute e quelle del reperto. Se si riesce a dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio la loro congruenza, un grosso passo in avanti è compiuto. Dare significato alle variabili di un processo è un punto critico, complesso e fondamentale. Altra virtù dello sperimentatore (che spesso deve lavorare in economia) è il saper trasformare variabili in costanti, progressivamente e alternativamente, e saperne tener conto per svelarne il “peso” nell’economia globale del processo.